Agricoltori, popolazioni indigene e artigiani che vivono al di fuori dell’economia industriale globalizzata rischiano anche di perdere la propria identità culturale e sociale. Il caos climatico rende, in effetti, sempre più inefficace l’insieme delle conoscenze e pratiche locali delle culture fondate sull’auto-sussistenza, tramandate di generazione in generazione e profondamente radicate negli ecosistemi locali.
È il caso, ad esempio, degli Inuit1 e degli altri popoli indigeni del Circolo Polare Artico, i quali nel 2005 hanno denunciato gli Stati Uniti alla Commissione Inter-Americana sui Diritti Umani (Inter-American Commission on Human Rights) per danni climatici a causa della loro mancata adesione al protocollo di Kyoto. La denuncia è stata accolta soltanto nel 2007 ed è tutt’ora in corso la vertenza2.
La crisi climatica presenta dunque una dinamica paradossale in termini di ripartizione dei rischi: sono infatti i popoli che meno dipendono dai combustibili fossili, e dunque i meno responsabili del fenomeno, a soffrirne le maggiori conseguenze.
A cura di Alice Benessia, Maria Bucci, Simone Contu, Vincenzo Guarnieri.