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Il dialogo internazionale in corso

Il primo trattato ambientale internazionale per gestire il riscaldamento globale nasce in occasione del Summit della Terra tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992, sulla base delle evidenze scientifiche fornite dai ricercatori dell’IPCC. Si tratta della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, firmata da 154 Paesi, che non prevedeva vincoli legali all’emissione di gas serra. Nel 1994 tale trattato è entrato in vigore e, da quel momento, ogni anno i firmatari si sono incontrati nelle Conferenze delle Parti (COP, Conference of the Parties). La terza di queste conferenze si è tenuta in Giappone (a Kyoto) nel 1997 ed è diventata la più famosa perché, per la prima volta, è stato realizzato un Protocollo che pone dei limiti alla produzione di gas serra legalmente vincolanti. Molti sono stati i Paesi che lo hanno firmato, compresi gli Stati Uniti. Ma per entrare in vigore era necessario che il Protocollo venisse ratificato da almeno 55 dei firmatari e che l’insieme di queste nazioni producessero almeno il 55% dei gas serra globali. Questa condizione è stata raggiunta solo nel febbraio del 2005 a seguito della ratifica da parte della Russia. Gli Stati Uniti non hanno ancora aderito.

Il trattato prevede che le Nazioni aderenti complessivamente riducano del 5,4% le loro emissioni di gas serra rispetto ai valori del 1990, entro il 2012. Si tratta di un valore medio: paesi industrializzati come l’Unione Europea devono ridurre dell’8% (l’Italia del 6,5%), mentre riduzioni inferiori o addirittura nulle sono previste per paesi in via di sviluppo, anche se questi contribuiscono in misura non trascurabile all’effetto serra1.

Per raggiungere l’obiettivo fissato dal Protocollo di Kyoto, oltre a puntare alla riduzione dei consumi di materia ed energia, strettamente correlati alla produzione di gas serra, una nazione può ricorrere a un sistema di meccanismi flessibili per l’acquisizione dei cosiddetti “crediti di carbonio”.

Un primo meccanismo consiste nell’effettuare progetti per il trasferimento di tecnologie “pulite” o, comunque, progetti volti a ridurre le emissioni in paesi in via di sviluppo che non hanno obblighi di riduzione (Clean Development Mechanism, CDM). Un secondo meccanismo a disposizione consiste nel praticare lo stesso tipo di investimento in altri paesi con obblighi di riduzione, in particolare quelli con economia in transizione (Joint Implementation, JI). La differenza fra la quantità di gas serra emessa realmente e quella che sarebbe stata emessa senza la realizzazione del progetto (scenario di riferimento o baseline), è considerata “emissione evitata” ed è accreditata sotto forma di “crediti di carbonio” aventi un valore di mercato dipendente dal numero dei crediti generati e dal prezzo di tali crediti (prezzo non fissato a priori ma determinato dall’andamento del mercato)2.

È possibile, secondo un terzo meccanismo, acquistare tali crediti da nazioni che hanno ridotto le emissioni oltre l’obiettivo previsto (Emission Trading, ET). Utilizzando questo stratagemma basato sulla compravendita, un paese può non ridurre le proprie emissioni e soddisfare comunque il Protocollo di Kyoto.

A cura di Alice Benessia, Maria Bucci, Simone Contu, Vincenzo Guarnieri.

1 Si pensi che per India e Cina non è previsto nessun obbligo di riduzione delle emissioni nonostante producano circa il 40% dei gas serra a livello mondiale.

2 Dal sito del Ministero per gli Affari Esteri: http://www.esteri.it/MAE/IT/Politica_Estera/Temi_Globali/Ambiente/20090406_MeccanismiKyoto.htm





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