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La Terra come unico organismo vivente

Ci vogliono più di dieci anni affinchè questa ipotesi venga articolata meglio e riesca ad essere maggiormente accettata dalla comunità scientifica internazionale. Fondamentali sono le collaborazioni tra Lovelock e altri scienziati che si occupano di oceani e di atmosfera. Di particolare importanza è stato l’incontro avvenuto nei primi anni Settanta con la microbiologa Lynn Margulis dal quale è stato messo in luce il ruolo fondamentale che la comunità di batteri svolge nella fisiologia di Gaia.

Il nome scelto da Lovelock (Gaia è la dea della Terra nell’antico mito greco) da un lato si è rivelato essere estremamente evocativo, ma da un altro lato ha contribuito a far sì che venisse adottato dal movimento della New Age, con conseguente imbarazzo da parte della comunità scientifica. Dalla combinazione dei molteplici studi che si sono susseguiti negli anni, verso la fine del secolo scorso l’ipotesi Gaia si struttura in una vera e propria teoria che descrive il nostro pianeta nel suo insieme (a questo aspetto deve aver contribuito anche la possibilità di vederlo dallo spazio attraverso le prime fotografie scattate dagli astronauti) evidenziando come questo si comporti esattamente come un unico essere vivente. Le componenti biotiche e quelle abiotiche sono in stretta relazione tra loro e la complessa rete di interazioni dinamiche consente a questo enorme organismo di autoregolarsi. Questa è, infatti, una delle proprietà degli esseri viventi. Così come gli animali a sangue caldo, anche la Terra è in grado di mantenere costante (entro certi limiti) la propria temperatura. E così come fanno tutti gli organismi viventi, tra cui quelli più piccoli come i batteri, anche la Terra rinnova e riequilibra i costituenti chimici che la compongono. I suoli, i mari e l’atmosfera si scambiano continuamente atomi e molecole. Questo scambio è inevitabile dal momento che gli ecosistemi che costituiscono Gaia hanno a disposizione soltanto una quantità limitata di elementi chimici (dall’esterno provengono solo trascurabili contributi con le meteoriti). La vita prevede quindi un continuo riciclo di tali elementi essenziali. Già nel corso della nostra esistenza, gli atomi che compongono le singole parti del corpo lo fanno per un periodo limitato prima di essere eliminati e rimpiazzati attraverso i processi di nutrizione, eliminazione e respirazione. A livello globale questo “movimento” chimico viene descritto con l’impiego di quelli che vengono definiti i cicli biogeochimici. Tali cicli coinvolgono sia le componenti organiche che quelle inorganiche degli ecosistemi e sono caratterizzati da tempi “geologici”. Tra questi ci sono il ciclo dell’azoto, dell’ossigeno, dello zolfo, ecc. La conoscenza del ciclo del carbonio è oggi di particolare rilevanza perché è quello che ci permette di descrivere la formazione dei giacimenti di combustibili fossili e il rilascio di anidride carbonica nell’atmosfera. Ad ogni modo, gli studi ci dimostrano che tutti i cicli biogeochimici sono in intima relazione tra loro e, quindi, che una più corretta conoscenza dei fenomeni a loro legati sia perseguibile soltanto in seguito a un’approccio sistemico, per il quale la teoria di Gaia risulta appunto particolarmente utile.

A cura di Alice Benessia, Maria Bucci, Simone Contu, Vincenzo Guarnieri.





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