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Scienza, tecnologia e sicurezza alimentare

Nel Nord industrializzato, lo spettro della carestia globale risale storicamente alle fosche previsioni del pastore anglicano Thomas Robert Malthus, il quale, alla fine del diciottesimo secolo, sosteneva che fame, guerra ed epidemie erano alle porte poiché la popolazione cresceva ad un ritmo esponenziale mentre la disponibilità di cibo aumentava soltanto in modo lineare[1]. Nella sua ottica, si trattava dunque di rallentare la crescita demografica mediante un ferreo controllo sulle nascite, non potendo agire sui limiti naturali imposti alla quantità totale di cibo disponibile.

Il controllo demografico non fu attuato e le previsioni di Mathus furono smentite grazie all’aumento della resa agricola e dell’efficienza energetica della rivoluzione industriale. Il filosofo americano Ralph Waldo Emerson riassunse l’accaduto mezzo secolo più avanti come segue: Malthus, affermando che le bocche si moltiplicano geometricamente e il cibo solo aritmeticamente, dimenticò che la mente umana era anch’essa un fattore nell’economia politica, e che i crescenti bisogni della società, sarebbero stati soddisfatti da un crescente potere di invenzione.

La crisi strutturale del sistema alimentare attuale è stata ed è in gran parte ancora inserita nel medesimo schema mentale, risalente agli albori della rivoluzione industriale. Cresce la popolazione, la terra è finita, dunque o si limita l’aumento della prima, il che è politicamente molto difficile da conciliare con i principi delle moderne democrazie, o si aumenta l’efficienza dello sfruttamento della terra. In quest’ottica, la finitezza delle risorse è bilanciata dall’illimitata creatività umana, ovvero, in termini attuali, dalla scienza e dalla tecnologia ad alta potenza.

L’inquadramento del problema è dunque fondato sulla competizione tra due variabili, popolazione e quantità totale di cibo, e non prevede una riflessione sul come il cibo venga prodotto e su come sia distribuito. La rivoluzione verde in agricoltura è un tipico esempio di come si possano utilizzare la scienza e la tecnologia ad alta potenza per aumentare la produzione totale di beni agricoli nonostante i pur molteplici effetti collaterali, insostenibili su ampia scala e su tempi lunghi, dipendenti proprio dal come si produce il cibo e dal come lo si distribuisce.

La cosiddetta sicurezza alimentare, definita per la prima volta nel 1974 nel contesto del Forum Mondiale sul Cibo delle Nazioni Unite, è incentrata prevalentemente sul volume e sulla stabilità delle risorse alimentari ed è misurata da indicatori incentrati sulla quantità di calorie pro-capite. Ciò significa mantenere il problema all’interno del paradigma proprio della rivoluzione industriale, nel quale si considerano ancora una volta due sole variabili, la popolazione totale da un lato e la quantità totale di cibo dall’altro, ignorando invece la complessa questione socio-ambientale dell’accesso ai beni alimentari.

Non stupisce dunque che, in mancanza di una pur auspicabile e invocata revisione della logica ottocentesca, la scienza e la tecnologia siano ancora una volta chiamate in causa come soluzioni uniche all’emergenza alimentare. In questo scenario, la promessa di una nuova rivoluzione verde, in grado di sfamare i 6 miliardi di esseri umani di oggi e i 9 del 2050, viene dalla rivoluzione biotecnologica.

A cura di Alice Benessia, Maria Bucci, Simone Contu, Vincenzo Guarnieri.


[1] Malthus espose la sua teoria nel celebre saggio “Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società”, scritto nel 1796.





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