La riduzione a merce dell’acqua è stata sostenuta dal pensiero liberale. Da domani un meeting internazionale proverà a discutere una via d’uscita alla sua privatizzazione
di Ugo Mattei
Il tema dei beni comuni (ambiente, acqua, paesaggio, risorse naturali, beni culturali, informazioni) e della loro tutela è tornato drammaticamente alla ribalta a seguito dell’approvazione (attraverso il solito sistema della fiducia) del «Decreto Ronchi» nel novembre scorso. Come noto, il governo italiano ha sferrato in quella sede un attacco formidabile alla gestione pubblica del servizio idrico, rendendo sostanzialmente obbligatoria su tutto il territorio nazionale la gestione privata dell’acqua. Naturalmente la privatizzazione in Italia era già possibile (ma almeno non obbligatoria!), e già aveva dato pessima prova di se in realtà quali Arezzo e Agrigento, così come documentato dal bellissimo reportage «Acqua rubata» di Stefano Iacona, andato in onda su Rai 3, e che può essere scaricato dal sito: www.siacquapubblica.it
Eppure in Italia ci si era mossi con largo anticipo rispetto alla crisi per elaborare un’alternativa tecnicamente avanzatissima nella gestione dei beni pubblici e comuni, capace di operare una effettiva e costruttiva inversione di rotta rispetto alla deriva «mercatista» e privatizzatrice dell’oro blu e degli altri cespiti del patrimonio pubblico svenduti per far cassa. Fin dal 2005 sono circolati fra giuristi ed economisti i risultati di studi condotti al massimo livello possibile nel nostro paese presso l’Accademia Nazionale dei Lincei che raccomandavano (e l’allora Presidente Giovanni Conso era stato fra i più consapevoli dell’urgenza) la necessità di metter mano ad una legislazione per principi capace di governare questi processi per Invertire la rotta (per riprendere il titolo della prima pubblicazione dei lavori lincei uscita nell’estate 2007 per i tipi del Mulino).
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Fonte: il manifesto